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SALINA

Salata o Zuccherata?

Salina

Dydime o Salina?
Salata o zuccherata?
Continua a leggere e scoprirai il perché:

Come racconta nel suo libro “Eolie Enoiche, l’autrice Simonetta Lorigliola:
“Salina vista dal mare, arrivando da nord, è un miraggio. Un'isola o due?
È duplice qui, il cono. Armonico e doppiamente rotondo, tenuto insieme da una valle. Un'icona.
L'isola si chiamava Didỳmē (didymos, gemello) anche se la storia successiva ha sciaguratamente cancellato quel nome appropriato, poetico, illuminante. Ma in quel momento il passato greco era lontano, forse quasi dimenticato e contava di più l'attività della salina di Lingua, che produceva oro bianco per l'arcipelago e oltre. I due coni sono due montagne: il Monte della Fossa delle Felci che con i suoi 962 metri è la cima maggiore delle Eolie. L'altro è il Monte dei Porri alto 860 metri”

Il nome moderno Salina, infatti, si riferisce all'attività estrattiva del sale marino che avveniva probabilmente già dal Medioevo, nel laghetto in località Lingua. Oggi è in disuso e le persone del posto lo chiamano il “pantano”, uno specchio d’acqua che però ha una sua utilità fondamentale per l’aviofauna, perchè vi sostano uccelli acquatici migratori che non potrebbero sostare nelle altre isole.

Salina è anche l’unica isola in cui vi è riconosciuto il presidio Slow Food del cappero. Questo ingrediente molto versatile si trova in tantissime ricette Eoliane, dall’antipasto al dolce, al liquore
Pensa che della pianta del cappero non si butta niente: il germoglio è il cappero stesso; se non viene colto fiorisce un fiore bellissimo che sembra una orchidea che diventa pianta ornamentale per i muretti delle case o dei giardini su cui crescono; il fiore poi da vita al cucuncio che viene utilizzato in cucina prettamente per le insalate. Delle cime della pianta si fa anche una conserva sottolio buonissima

Passiamo dal salato al dolce perché a Salina uno dei prodotti tipici di quest’isola è la “dolce” Malvasia, il vino da dessert chiamato anche “il nettare degli dei”.

Noi Eoliani lo gustiamo a fine pasto accompagnato dai “sesamini”, dei biscottini che vanno obbligatoriamente intinti nella Malvasia prima di mangiarli.

Anche la famiglia di mio marito produceva Malvasia a Salina vincendo diverse medaglie agli inizi del “900 per “vini dolci per signore”.

Negli ultimi decenni invece è iniziata la produzione di Malvasia secca, grazie a Nino Caravaglio, il primo a sperimentare questo procedimento di
un vino non più “passito” al sole per qualche settimana ma vinificato dopo qualche giorno in cui le vinacce vengono lasciate a macerare nel mosto. Grazie a questo procedimento anche se il sapore dolce non viene raggiunto rimane comunque il sentore tipico dell’uva Malvasia.
Questo pregiato vino bianco è apprezzato sia durante il pasto sia come aperitivo.

La storia di Salina è profondamente legata alla Malvasia perché grazie ai commerci (in particolare con le truppe inglesi di stazza a Messina) veniva esportata dalla sua flotta composta da 100 velieri.

Come racconta nel suo libro Marcello Saija “Malvasia delle Lipari, storia dell’antico passito siciliano”:

“Le truppe di sua maestà britannica, scoprirono a Messina durante i quindici anni di guerra contro le truppe napoleoniche insediate sull’altra sponda dello Stretto tra il 1800 e il 1815. Da quel momento il vino malvasia delle Lipari venne venduto in tutta Europa e regalò a Salina che fu il luogo prevalente di produzione (solo il 7% si produceva a Stromboli) un Ottocento splendido fino alla distruzione fillosserica che nel 1888 distrusse in 18 mesi quasi tutti i vigneti”.

Ma come arriva la Malvasia alle Eolie?
“Si tratta, continua l’autore, di un vitigno che arriva a Salina alla metà del 1600 con un drappello di veneziani fuggiti da Creta assediata dai Turchi. I veneziani che sbarcarono a Lipari chiesero al vescovo le concessioni enfiteutiche per coltivare terre a Salina, isola ancora semideserta. Così arrivarono le piante di vite coltivate a Creta per tutto il Medio Evo e originariamente importate da da Monenvasia (da cui il nome)”.

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